le cicogne sono immortali

513COSESSANTUNO ARTECONTEMPORANEA

SOLVEIG COGLIANI
LE CICOGNE SONO IMMORTALI

L’arte contemporanea diventa il mezzo per raccontare ciò che più di ogni altro fenomeno sta cambiando la nostra storia attuale: l’esperienza migratoria, protagonista del progetto espositivo “Le Cicogne sono immortali” di Solveig Cogliani il cui percorso, presentato a Palermo il 16 dicembre a Palazzo Mazzarino si concluderà il 9 marzo, sempre a Palermo, presso la Galleria “Agorà” in via XII Gennaio, 2.
La mostra è il frutto della collaborazione tra la Pegaso Università, l’Associazione Antonio e Lidia Bellomo, la Galleria Agorà e la Cosessantuno Artecontemporanea, enti che da sempre mettono al centro della loro missione il presente in tutte le sue accezioni, prestando attenzione ai linguaggi più sperimentali e innovativi dell’arte e della cultura contemporanea, con la volontà di dare voce a fenomeni portatori di cambiamenti.
“Le cicogne sono immortali” prende a prestito il titolo dal libro dello scrittore Alain Mabanckou, da sempre affascinato dalla questione della coesistenza e dall’interazione tra culture diverse e narratore di metafore di vita potenti e dolorose.
Quella di Solveig Cogliani è dunque la condivisione di un progetto urgente e doveroso che ha l’ambizione di raccontare il presente come un territorio instabile e in fibrillazione in relazione alle trasformazioni epocali che stanno segnando lo scenario globale e la storia contemporanea, in particolare affrontando il problema dell’esperienza migratoria alla ricerca di un rifugio e di condizioni di vita migliori.
Solveig Cogliani avverte il dovere di chiedere uno spazio di riconoscimento per tali persone che non sia quello strumentalizzato dalla retorica ufficiale che tende a demonizzare o vittimizzare i migranti.
Spesso, invero, non si tiene conto del fatto che “i migranti” non sono una categoria astratta, ma individui, ognuno dei quali con storie, forze, debolezze e sensibilità proprie.

L’esposizione presenta un intervento che trasforma la sede operativa in una macchina del dubbio, resa ancora più spiazzante dall’accostamento di materiali che sembrano a prima vista contrapporre codici estetici di segno diametralmente opposto.
Una grande tela dipinta replica un fotogramma di alcuni scatti che l’artista ha realizzato in prossimità di una striscia di terra del Sinai dalla quale è possibile scorgere l’Arabia Saudita, luogo, per chi osserva, di libertà o meglio di coscienza credente verso la libertà che ha a che fare non solo con la scelta ma anche e soprattutto con la responsabilità e la promessa. Questa fotografia, riprodotta ed esposta unitamente ad un’altra a soli fini documentali, ha un potere narrativo ed evocativo enorme. La sua presenza si duplica ed amplifica nella sala principale con lo spiazzante accostamento dell’intervento pittorico accostato a del filo spinato, a simboleggiare il deterrente “gentile”, ciò che può liberarci dalla detenzione di noi stessi invitandoci ad essere più consapevoli.
L’astratta perfezione dell’installazione si basa su un semplice principio di partizione matematica: una linea al centro della tela divide la superficie in due parti uguali. Una sezione suddivide la tela fino a evocare un infinito potenziale ma al tempo stesso tangibile.
La ricerca dell’alterità è altresì difesa da un rotolo di carta recante le relazioni scritte riportate dall’artista nell’interazione tra intimismo e tragedia politica e da altre forme di narrazione video e audio anche in lingua araba che accolgono riflessioni e microstorie personali di singoli individui che, insieme, tracciano il percorso dell’esperienza verso un cammino nuovo. Altre tre tele dipinte diventano ulteriori elementi dell’installazione, traccia di un ordine che sta per essere infranto ma destinato ad essere ricomposto. L’intento è quello di destare le coscienze, di accompagnarle nella comprensione di eventi ormai quotidiani che erroneamente vengono definiti “fenomeno”. La migrazione non è più un fenomeno, è una costante del nostro tempo che va compresa, resa umana. L’obiettivo di questa mostra è quello di restituire al pubblico almeno una parte di queste esperienze, perché possano trasformarsi in conoscenza, fornendo risorse e strumenti utili alla ricerca di un equilibrio armonico tra gli esseri umani”.

“Bisogna ritornare sui passi già dati, per ripeterli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini. Bisogna ricominciare il viaggio. Sempre.”
Josè Saramago

La poetica del viaggio è un’educazione al cammino, un’esigenza di dinamismo, una ricerca del sé, di ciò che nell’incontro con il nuovo e con l’inaspettato diventa segno definito di una verticalità che abbandona i limiti della realtà contingente, così da esprimere al meglio uno spirito di trascendenza e di scoperta. Questa verticalità si fa circolarità quando le dinamiche del viatico prendono la forma tonda del ritorno, in quello spazio del tutto umano dove memoria e futuro si sfiorano per generare uno sguardo che resiste al tempo e alla mutevolezza dei giorni.
La categoria della possibilità è cara al viandante, tutto può tradursi in scoperta, un passo dopo l’altro e ci si spinge oltre i confini ereditati, più in là delle certezze conosciute e trattenute. Oltre il confine stabilito si affaccia il nuovo, poco più in là, un’altra casa, ancora inviolata, aspetta di essere visitata. Il protagonista di questo dinamismo è un Odisseo contemporaneo che in una prospettiva realistica traccia la sua storia di coraggio e di iniziativa e poggia il piede su una terra sconosciuta, una terra di nessuno che aspetta solo di essere nominata. In questa moderna geografia umana ogni singolo viaggio diviene avvenimento, una vicenda che coinvolge l’umano e le sue possibilità di lasciare un’impronta imperitura del suo passaggio, nel fluire dinamico e sempre vivo della scoperta.

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